Nel 1983 John Hull è diventato cieco.
Perdere la vista in età adulta è un’esperienza dolorosa, vissuta come un vero e proprio “life marker”, ossia uno spartiacque che porta con sé un profondo messaggio di discontinuità rispetto a quella che è stata, fino a quel momento, la vita della persona e dei suoi familiari.
Così è stato anche John Hull, teologo e scrittore inglese: a 45 anni, dopo anni di malattia, è diventato completamente cieco.
Per prendere consapevolezza, per elaborare e per affrontare nel migliore dei modi ciò che gli stava accadendo, John Hull ha deciso di tenere un audio-diario, nel quale registrare pensieri, emozioni e sensazioni fisiche.
Nel 2014 i registi Peter Middleton e James Spinney hanno prodotto “Notes on Blindness“, in italiano “Note sulla cecità”, un cortometraggio della durata di 12 minuti, creato a partire dalle registrazioni che lo scrittore ha raccolto per ben tre anni.Questo è il tempo che è stato necessario a John Hull per: “smettere di credere di essere una persona vedente che non riusciva più a vedere”.
Questo cortometraggio aiuta ad avvicinarsi al senso dell’esperienza vissuta della cecità, in particolare troviamo:
- la frammentazione della memoria visiva;
- i sogni che a poco a poco si trasformano in suoni;
- il desiderio della stimolazione visiva;
- il panico di perdere punti di riferimento, compreso sè stessi;
- la pioggia che cade, rendendo presenti, attraverso il suono, oggetti precedentemente invisibili;
Come racconta il regista Spinney: «Quello che i diari raccontano è un processo di rinascita. John ha ridefinito la sua identità attraverso le sue paure e il suo desiderio di tornare a vivere».
Infatti, l’elaborazione della perdita della vista comporta una ridefinizione del senso di identità che passa attraverso la consapevolezza e l’apprendimento di nuovi modi di percepire e di percepirsi, per arrivare all’accettazione di sé.
Di seguito trovate il cortometraggio “Notes on Blindness”, sotto al quale riporto la traduzione dei testi
Traduzione del cortometraggio
Nel 1983, dopo anni in cui la vista andava man mano deteriorandosi, John Hull divenne definitivamente cieco.
Nei tre anni successivi tenne un diario su un’audiocassetta.
Il film è stato realizzato usando le sue registrazioni originali.
Quando sei diventato cieco? E’ capitato solo pochi giorni che tu fossi nato.
Cos’è che ti ha fatto ammalare gli occhi? Erano ammalati e i dottori non hanno potuto fare nulla.
Giugno 1983.
Dopo quasi tre anni di cecità trovo che le immagini nella galleria della mia mente si siano in qualche modo scolorite.
Dunque ho trovato molto stressante non ricordare esattamente l’aspetto di mia moglie o come fosse l’immagine di mia figlia e ho scoperto che i ricordi delle fotografie potevo ricatturarle più facilmente.
Mi sembrava di riuscire a ricordare le immagini della mia bambina quando era piccola e di Thomas quando aveva tre anni. E ho qualche vaga impressione ancora dei primi sei o nove mesi della sua vita, prima di perdere completamente la vista e di Elisabeth, che ora ha sedici mesi, non ho ricordi visivi e non li ho mai avuti.
Mi ricordo da adolescente quando il mio occhio sinistro…pensai:“Eh, questa è l’ultima volta che riuscirò a vedere la mia spalla sinistra”. Perdere una spalla è una cosa, perdere un viso è un’altra cosa. Perdere l’immagine del volto è una cosa che ti da l’impressione quasi di essere uno spirito, di avere davanti uno spirito.
(Parla la moglie Marilyn) Abbiamo perso qualcosa di vicino, di intimo, qualcosa di molto speciale tra di noi, e penso che la perdita maggiore per me sia che non riesca a vedermi. E’ semplicemente così: io non posso guardarlo negli occhi e non posso essere vista e non c’è quel tenere una persona nello sguardo, essere tenuta nello sguardo e penso che quando sei molto vicino a qualcuno si tratti di una grandissima perdita.
Essere visti vuol dire esistere e questo l’ho pensato anche quando mia figlia mi ha detto: “Oh, papà, vorrei tanto che tu potessi vedermi”.
Perchè dio non ti aiuta? Dio mi aiuta, mi aiuta in molti modi.
E come? Mi rende forte, mi dà coraggio, ma non it aiuta a riacquistare i tuoi occhi, a riacquistare la vista.
L’unica esperienza di panico che riesco a ricordare ha avuto luogo a dicembre in un buio pomeriggio in cui era stato predetto che sarebbe nevicato. Sono uscito di casa e ho fatto pochissima strada quando ho sentito cresere in me una grande sensazione di dubbio ed incertezza. Ero intensamente consapevole del fatto che stavo camminando nel nulla, attraverso un freddo intenso, ma non stavo andando da nessuna parte ed ero consapevole di essere interamente solo. Ho avuto una sensazione di disastro imminente, mi sono girato e ho cominciato a camminare verso casa e per circa un’ora avevo una disperata sensazione di essere rinchiuso con il bisogno di uscire fuori e sentivo il disperato bisogno di uscirne come se stessi sbattendo la testa contro il muro della cecità. Un disperato bisogno di passare oltre questo velo che mi circondava, uscire nel mondo di luce che c’era di fuori.
Come poteva essere capitata a me questa cosa? Chi poteva chiedermi di vivere tutto questo, di passare tutto questo? Chi aveva il diritto di privarmi della vista di quei bambini il giorno di Natale?
L’immagine che spesso si ripresentava a me nei giorni della mia prima cecità e mi ritornava con talmente tanta forza questa immagine, è quella di essere trasportato sempre più profondamente all’interno di me stesso, nella mente, dove siamo completamente fuori controllo e non siamo in una posizione per poterci fermare.
E questa cosa andava avanti, andava avanti, ma io dovevo fermarmi dovevo saltar fuori da questa cosa e dovevo correre indietro, eppure no, questa cosa mi trasportava sempre più all’interno sempre più in profondita e più profondo e più profondo.
E poi infine avevo l’impressione che se avessi dovuto accettare questa cosa e acconsentirla ne sarei morto perchè sarebbe stato come se la mia volontà di resistere si spezzasse. D’altro canto il non accettare sembra futile perchè la cosa che la persona si rifiuta di accettare è comunque un fatto e quello che ho da dire è che non c’è via di fuga e so che devo andare avanti per trenta, quaranta o più anni così.
La pioggia porta fuori i contorni di ciò che ti circonda in quanto è come se fosse una continua coperta di suoni diversi e particolari e si tratta di un suono ininterrotto che riempie continuamente l’ambiente.
Se fosse possibile far piovere in una stanza allora tutta la stanza prenderebbe una forma e prenderebbe anche una dimensione e devo anche dire che questa è un’esperienza di bellezza.
Invece di essere isolato, tagliato fuori e preoccupato internamente, invece ti viene presentato un mondo e vieni messo in collegamento con un mondo, c’è un mondo che ti parla. Questa esperienza dovrebbe colpire qualcuno per la sua bellezza, la cognizione è bellissima, è bellissimo imparare.
Dott.ssa Mara Vesco – Psicologa e Psicoterapeuta